Storia dell'aceto nell'antichità

La storia dell’aceto

La storia dell’aceto è antichissima. Citato ripetutamente dalla Bibbia (homez), se ne sono trovate tracce in un vaso dell’Egitto prefaraonico, vecchio di circa diecimila anni, a testimonianza del fatto che gli Egizi, così come i Babilonesi e i Persiani, lo conobbero e lo impiegarono per la conservazione dei cibi. Del resto, solo grazie all’aceto i generi alimentari potevano allora essere trasportati su lunghi percorsi. Ma l’aceto era anche, unito all’acqua, una bevanda rinfrescante, contadini e viaggiatori dell’antichità ne facevano largo uso.

Nella Grecia antica

Oxycrat si chiamava nella Grecia antica la bevanda più comune, la bevanda del popolo. Era un miscuglio di acqua, aceto e miele che veniva conservato nei vasi appositi (oxydes). Ippocrate, il “padre della Medicina”, il medico straordinario le cui dottrine dominarono la civiltà occidentale fino al 1700, e cioè per più di duemila anni, lo prescriveva come cura in caso di ferite, piaghe e malanni dell’apparato respiratorio.

I Romani

I Romani si dissetavano con la posca, miscuglio di acqua e aceto i cui venditori, spesso popolari, erano come da noi, almeno fino a non molti anni fa, i venditori di cocco. Si diceva che la posca dava forza, il vino ebbrezza. (Posca fortem, vinum ebrium facit). Una spugna imbevuta di posca fu quella che un pretoriano porse a Gesù sulla Croce. Non quindi un atto di crudeltà, ma di pietà da parte di un umile soldato nei confronti di quello che per lui era un uomo che agonizzava sulla croce. A tavola, ovvero sulle tavole dei loro celebri banchetti, i Romani non si facevano mai mancare l’acetabolo, ciotola piena d’aceto della capacità di un bicchiere e mezzo nella quale ogni commensale intingeva pezzetti di pane per rifarsi la bocca tra una pietanza e la successiva favorendo, nel contempo, la digestione. A Roma, a base di aceto erano quasi tutte le ricette di Apicio, grande gastronomo epicureo del I secolo d.C.. Il suo quasi contemporaneo Columella, ci ha lasciato alcune ricette per ottenere l’aceto nelle quali è previsto l’impiego di lievito acido per favorire la fermentazione, nonché l’immersione nel vino di sbarre incandescenti e pigne di abeti ardenti capaci di purificarlo e liberarlo dai cattivi odori. I Romani avevano vari tipi di salse d’aceto, dalla più semplice fino al famoso garum, un infuocato miscuglio di elementi che l’aceto s’incaricava di amalgamare. Aceto si utilizzava anche per condire le acetarie, insalate miste di carne e verdure o solo verdure che venivano servite come intervallo tra una serie di portate e l’altra. E con un sistema che noi oggi chiamiamo “marinatura”, i Romani impiegavano aceto per conservare i pesci fritti. Per Plinio il Vecchio, che nella sua Naturalis Historia lo consiglia per i malanni più disparati, l’aceto aggiunge gusto e piacere alla vita. Ai Legionari romani l’aceto non mancava mai. Ne facevano ampio uso a cominciare dal moretum, insalata a base di aglio, cipolla, ruta, formaggio di capra e coriandolo, condita con olio e aceto e loro pasto abituale prima della battaglia. Durante le campagne militari l’aceto era utilizzato dai Legionari come bevanda dissetante diluito con l’acqua e, nella pulizia del corpo, sia per prevenire sia per curare gli effetti dei disagi derivanti dalla vita del campo e dalle ferite non gravi. Annibale Barca, il famoso generale cartaginese (247-183 a. C.), nel decisivo duello tra Cartagine e Roma, per evitare il mare dove Roma dominava, valicò le Alpi al Piccolo San Bernardo con fanti, cavalieri ed elefanti. Ciò è arcinoto. Meno noto è come le valicò. I passaggi erano stretti e tortuosi, impraticabili per gli enormi elefanti. Allora Annibale fece accatastare grandi rami fra le rocce che ostruivano il percorso per darli alle fiamme. Sulle rocce così arroventate fece quindi versare dell’aceto per renderle morbide e friabili e in questo modo consentire ai soldati di romperle aprendo il passaggio alle truppe e agli animali.